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  2. int main(void) {char car; int i;
  3. for(i=1;i<5001;i++) {scanf("%c",&car);
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  6. printf("trovato . dopo %d caratteri",i);
  7. return 0;
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  9.  
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Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna,[4] la Commedia è il capolavoro di Dante ed è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi,[5] nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo.

Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum,[6] attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» (Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle"; Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle"; Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle").

L'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100 000 e le 200 000 pagine),[7] dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta: si parla così di "secolare commento". La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo: nella seconda metà del Novecento l'edizione di riferimento è stata quella realizzata da Giorgio Petrocchi per la Società Dantesca Italiana.[8] Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza[9] e Federico Sanguineti.[10] A partire dal 2018, una nuova edizione critica basata sul codice Laurenziano Pluteo XL 12, definito «il più antico codice di sicura fiorentinità», è stata curata da Federico Sanguineti ed Eloisia Mandola.[11]

La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, espressa anche con l'uso di neologismi creati da Dante come «insusarsi», «inluiarsi» e «inleiarsi».[12]

Titolo
Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal greco κωμῳδία (kōmōdía, composto di κώμη, villaggio, e ᾠδή, canto; letteralmente canto del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera (Inferno XVI, 128; XXI, 2). Nell'Epistola XIII (la cui paternità dantesca non è del tutto certa), indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce in latino il titolo dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus ("Incomincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi").[13]
n essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime, tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità. Nel poema infatti si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla "selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per eccellenza della cultura.

L'aggettivo "divina", riferito alla Commedia per via dei temi riguardanti il divino, fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto circa quarant'anni dopo il periodo in cui si pensa sia stato terminato il poema dantesco. La locuzione Divina Commedia, però, divenne comune solo dalla metà del Cinquecento in poi, da quando Ludovico Dolce, nella sua edizione del 1555, stampata a Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari, riprese nel titolo l'attributo datole dal Boccaccio.

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